#è francese vero
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Viva il rosé, la cosa migliore fatta dai francesi
#io sono come Schopenhauer#quando si parla di francesi#è francese vero#top anche le alette di pollo del Mac#la salsa hot devil is burning my soul ma top anche quella#my blog stuff
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Ah ok, quindi se non ti piace così tanto eviterei di scriverti in francese troppo spesso :D mais t'inquiète, alsacien c’est pas si mal, tu aurais pu tomber sur pire, genre breton ou parisien ;)
mais pas de problème je te dis si tu veux m'écrire en français je va le comprendre sans souci, ça peut être je va te répondre en italien; plus "alsacien c'est pas si mal" tu dis, bien j'ai au le plaisir de parler avec une niçoise or qu'elle m'a dit que mon accent c'est le respectif français du neapolitan pour les italiens (il me faudrait de temps pour le digéré, je dois encore me remettre)
#e dimmi beloved io percepisco odio giustificato per bretoni e parigini quindi mi permetto di domandare la Sua regione di provenienza#(e comunque i parigini non sono fracesi sono solo parigini ma non francesi come diceva papà)#frà répond#frà risponde#comunque ecco è ben chiaro che a livello sceitto sono devastantemente incapace (#come un vero francese!)
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Ma tu non credere a chi ti dice che la tristezza ti rende bella non siamo in un cazzo film francese. Sì, è vero, te l’ho detto io mentivo sei molto più bella allegra
Guido Catalano
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sai tutto quello che è successo ieri mi ha fatto pensare ad una cosa…
per contesto: vivo nel sud della Svizzera, nell’unica area italofona, anche se sono italiano. Ho iniziato a riflettere su quanto queste dinamiche italiane si riflettano anche qui in Svizzera, anche se i problemi non sono nemmeno paragonabili a quelli che il sud deve affrontare. Però anche solo pensando alla percezione che quelli più a nord (o come piace a loro chiamarsi “della Svizzera centrale”) hanno di quelli al sud, in particolare del cantone italiano, quello più al sud di tutti i cantoni (che sono come le regioni), ti fa capire quanto ottusi gli uomini siano. Quanto idioti e bigotti. Quanto ripetitivi nel loro pensare. Il sud della Svizzera è percepito anche lui come una “spiaggia a basso costo con buon cibo”. Questo è quello che siamo per loro. Siamo quelli esotici che non si comprendono, perché in italia è una questione di dialetti (o comunque di lingue come il napoletano che hanno avuto una metamorfosi a partire dal latino in parallelo al volgare italiano), ma qui è una questione di lingue. Non mi sento di screditare la parte francese, spesso sono molto educati e sanno parlare sicuro anche il tedesco e l’inglese, ma spesso ti sorprendono e sanno anche l’italiano. Però gli svizzeri tedeschi (secondo me da distanziare totalmente dai tedeschi di Germania) oh poveri noi. Loro lo sanno di essere la maggioranza (non badano molto allo studio di altre lingue) e lo sanno che il nostro futuro dipende tanto dalla capacità di esprimerci nella loro lingua, che per nota personale: la odio. Suona così male, soprattutto lo svizzero tedesco (che è il loro dialetto, molto diverso dal tedesco che impari a scuola). Esiste una unica università italiana in Svizzera, la quale non ha una gamma ampia di corsi. Se vuoi fare il medico, il fisico, il chimico, letteratura straniera, psicologia e non so quanti altri devi studiare o in tedesco (miglior scelta, perché è dove ci sono le università più prestigiose) oppure in francese. E lo so che ora penserai: beh studia in italia. E ti rispondo subito dicendo: non dopo tutta quella fatica che uno fa per prendere una maturità svizzera. Perché se in italia tanti bocciano il primo anno di università, qui il vero ostacolo è il primo anno di liceo (dove mediamente quasi il 40% non ce la fa). I programmi sono diversi, ma ora non voglio scendere troppo nei dettagli. Inoltre studiare in italia per fare l’avvocato in Svizzera non funziona. Devi studiare per forza in un’altra lingua (e per forza parzialmente in tedesco, perché alcuni codici sono solo in tedesco). Molte persone della mia età se ne sono andate in altri cantoni, a settembre perderò le mie ultime amicizie del liceo di qui. La “fuga di cervelli” c’è anche qui. Eccome se c’è. Ci sono i salari più bassi, mentre le spese aumentano e la nostra lingua viene sempre messa da parte a favore del tedesco (nel nostro stesso cantone intendo). Ci sono tutti questi problemi, tutte queste dinamiche, ma poi oltre passo il confine e le carte si girano, improvvisamente gli stereotipi si invertono. Perché non parlo più una lingua estranea, solo l’accento cambia. Dei pregiudizi calano e nuovi sorgono.
Non ha letteralmente senso. Sono tutti persi in un bicchier d’acqua. Volevo concludere dicendo che queste separazioni sono assurde ed è assurdo pensare di imporre un modello del genere in Italia. Di frantumare il sogno secolare dell’unità. Chi sono queste persone contro ogni figura storicamente importante della tradizione che credeva in questo ideale? Non verranno mai ricordate e dovrebbero sperare che vada così, perché in caso contrario non sarà per buone ragioni. la Svizzera funziona con i cantoni come cantoni sovrani (qui c’è tanta indipendenza), ma funziona perché non c’è mai stato un’altro modello. L’Italia non è stata pensata così. Mi spiace per tutto quello che sta succedendo, spero in colpo di fortuna.
L'unica cosa che posso aggiungere è che la Svizzera è schifosamente ricca e ogni cantone può autonomamente sostenersi da solo, anche quello "più povero", in Italia se lo fai condanni alla povertà oltre la metà del paese e ALL'INEFFICENZA l'altra, perché la Lombardia in questi anni ci ha dimostrato di essere un disastro, e dall'autogestione s'incasinerà ancora di piu.
Per il resto per carità capisco, ma tieni conto che i problemi della Svizzera in Italia sono quintuplicati e ci sto andando piano, e non è per sminuire quello che passate voi lì ma santo iddio qua stiamo vivendo un incubo e stiamo valutando l'emigrazione
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Nel vero amore è l’anima che abbraccia il corpo.
|| Proverbio francese
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La fortuna di non dirigere un giornale Sono fortunato a non dirigere un giornale o un telegiornale. Per esempio ieri. Aprire sulle decine di naviganti bambini e no annegati o soffocati nella stiva – o buttati a mare dalle autorità greche preposte? Aprire sui quattro suicidi in due giorni nelle carceri italiane, e sull’astuto ripristino della pena di morte? Aprire sulla morte del generale Graziano, che in un titolo di Repubblica avrebbe lasciato un biglietto: “Il mondo va in pezzi dentro sento un vuoto”, ma non è vero, benché sia molto verosimile? Aprire sul bracciante indiano trentenne il cui vestito è rimasto impigliato in un macchinario che gli ha strappato un braccio, il cui “datore di lavoro” ha buttato via il braccio e ha piantato lui e sua moglie in strada, anonimi tutti, quando leggo, datore di lavoro e datore di braccio e giovane moglie in nero? La livella… Ho tenerezza per tutti i morti, diceva un francese, tipo romantico. Anch’io, in certi giorni. Quanto ai vivi, fate voi. Conversazione con adriano Sofri, Facebook
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Sprechen Sie Deutsch?
La mia battaglia con la lingua tedesca cominciò a metà ottobre e durò quasi tutto l'anno accademico. In quanto figura di maggior rilievo degli studi hitleriani in nord America, era da molto tempo che cercavo di nascondere il fatto che non conoscevo il tedesco. Non lo parlavo e non lo leggevo, non lo capivo e non sapevo neanche da che parte cominciare per mettere su carta la frase più elementare. I più scarsi fra i miei colleghi in Hitler lo sapevano un po', altri o lo parlavano bene o sapevano usarlo in maniera ragionevole a fini di conversazione. Nessuno poteva specializzarsi in studi hitleriani, al College-on-the-Hill, senza un minimo di un anno di tedesco. In breve: vivevo ai margini di un territorio di ampia vergogna. Il tedesco. Carnoso, distorto, sputacchione, porporino e crudele. Ma bisognava finalmente affrontarlo.
D. DeLillo, [White noise, 1985], Rumore Bianco, Torino, Einaudi, 2006 [Trad. M. Biondi]
Se il personaggio di DeLillo è quello di un professore universitario che tiene un corso di Studi Hitleriani senza conoscere minimamente il Tedesco, alcune storie di cui sono a conoscenza abbassano, tragicamente, il senso di ironia e sarcasmo del libro perché ci sono, ahimè, vicende simili realmente accadute.
La prima è una cronaca di un amico di famiglia che, appena laureato in Legge, accettò a occhi chiusi l'incarico di insegnante di Tedesco in una scuola di un paesetto quasi sperduto, ringraziando Dio per la fortuna che lo avessero prescelto. Di Tedesco non sapeva assolutamente nulla, mentre se la cavava piuttosto bene con il Francese, lingua che gli risultò poi molto utile durante la lunga carriera diplomatica; raccontava di aver studiato, in quel primo anno, come non mai e di non aver fatto una figura particolarmente brutta.
La seconda storia, più recente, ce l'ha raccontata, durante una ristretta riunione di amici, uno scrittore che vanta ottimi editori nazionali; lui, laureato in Lettere ma con provenienza da un Liceo Scientifico (dove, se va bene, si impara un po' di latino), piuttosto che fare la fame, accettò il suo primo incarico di insegnante a centinaia di chilometri da casa, in un Liceo Classico dove gli fu assegnato il corso di Greco, per lui fino a quel momento una lingua assolutamente ignota.
Infine, io stesso mi sono trovato a insegnare Laboratorio di Misure Elettroniche, senza aver mai avuto all'università la possibilità di metter mano a un banco per i test e agli strumenti di misura.
E sì, è vero che all'inizio si studia come pazzi (io mi ero anche attrezzato in casa un piccolo laboratorio) e ci si creano competenze impensabili ma come poteva permettere un Ministero della Pubblica Istruzione che accadessero fatti simili? Si spiegano molte cose sulla Scuola, anche se di qualche decennio fa, no?
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Westeros ma sono le regioni italiane! feat:
L'alto piano è la zona di Toscana/Umbria/ Emilia. C'è la cittadella che è Bologna dei poveri, hanno le sommosse politiche,sono ricchi ma si fingono maledetti bohemien. Cersei odia Margaery perché è una maledetta comunista e mette a repentaglio i valori della famiglia . Mace Tyrell è un vero umarell che passa la vita a guardare i cantieri mentre la famiglia complotta!
Le terre del Ovest sono la Campania perché solo il sud™ poteva produrre i Lannister.(e lo so bene io,che sono campana E ho una famiglia di biondi/occhi verdi,me compresa!). Cersei come sopra è quel tipo di donna del sud che siccome ha i soldi e si è trasferita nella grande città si è elevata rispetto ai terroni,ma continua a raccontare i fatti suoi a chiunque come se fosse al mercato di Torrione. Castel Granito diventa Castel dell'Ovo. I Rayn dimorano nel Maschio Angioino e i Lannister per denigrarli li chiamano "Castel Nuovo".
Approdo del Re è il Lazio, per ovvie ragioni. Siccome la squadra di calcio di Robert ha perso il campionato contro la Roma ora lui pretende di abbattere il Colosseo. Roccia del drago è collocata nel Molise perché solo una terra di nulla può ospitare il castello dove vive Stannis Baratheon. Per chi se lo chiedesse: Il Vaticano è l'equivalente del Tempio di Baelor.
Le terre dei fiumi sono la Lombardia perché vogliamo essere geograficamente accurati. Robb è riuscito ad allearsi con loro perché ha fatto leva sui separatisti padani,anche se Cat non è convinta perché "non lo so mi sembrano un po' radicali",e infatti questi si ricicleranno qualche hanno dopo come sostenitori della Westeros unità. Walder Frey ha costruito tutta la sua fortuna capitalizzando sul Ponte Coperto di Pavia, perché si.
Sempre per coerenza geografia le terre della tempesta sono in Veneto. In particolar modo Capo Tempesta è a Belluno. Come con i Lannister:solo la terra delle bestemmie poteva produrre i Baratheon.
Le isole di ferro solo la Sardegna. Un po' per motivi seri (in epoca romana era effettivamente ricca di ferro ed altri materiali simili,sono un isola) e un po' perché mi diverte pensare che Euron sembri parlare in valyriano ma in realtà è dialetto sardo
Umbria e le Marche sono la Valle, perché l'assassino di Jon Harryn può tranquillamente essere avvenuto a Gubbio (se solo Westeros avesse avuto don Matteo)
Vi ricordate quel discorse™ sui siciliani dove la gente non riusciva a decidersi se erano italiani o PoC? Ecco, Tumblr fa la stessa cosa con i Dorniani! Lancia del Sole Castello Svevo lascia le altri regioni di sasso perché "Svevo? Ma questi non erano solo arabi/spagnoli??". Inoltre in HotD Gawayn da del terrone a Criston Cole quindi direi che abbiamo anche la giusta dose di campanilismo
Il Nord manco a dirlo sono Piemonte e Val d'Aosta. Cioè guardate il castello di Fénis e ditemi che non è Grande inverno. Hanno pure il meta lupo sullo stemma lo so che dovrebbe essere un leone argentato shhhh. Gli starkettini sono bilingue e lo sfruttano a loro vantaggio:Sansa a dato della stronza a Cersei in francese e poi lo ha spacciato come un complimento. Pure la Liguria è compresa perché fa tipo l'attaccatura dove si trovano i Manderlyn,che infatti non vengono presi sul serio.
Round Bonus: come aveva suggerito @mircallaruthven ,i Targaryen sono i Arbëreshë,che essenzialmente sono la comunità italo albanese. Loro sono per lo più ortodossi quindi abbiamo anche il conflitto con i democristiani di Westeros. Pure lo stemma è adeguato!
#italian tag#asoiaf#txt#io mi diverto un casino a fare ste cose#quasi quasi vorrei fare pure una versione in inglese ma con i paesi europei cone i sette regni 👀
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Primavera di libri
Torniamo a suggerirvi nuove letture e film “raccomandati” dai vostri bibliotecari di fiducia.
Un autentico caso letterario l’inedito di Gabriel García Márquez Ci vediamo in agosto, che, come narra la leggenda a proposito dell’Eneide di Virgilio, l’autore avrebbe voluto distruggere: “un omaggio alla femminilità, una storia di libertà e di desiderio che non si sopisce con l’età e nemmeno con l’amore coniugale”. I figli hanno consentito la pubblicazione di questo breve romanzo, che esce in contemporanea in tutti i paesi e ci delizia come una sorpresa inaspettata, nonostante la volontà del suo artefice, forse troppo esigente con sé stesso.
Tutt’altro che deprimente, Piccoli suicidi tra amici di Arto Paasilinna è ormai diventato un classico. Scritto con stile quasi cronachistico, la sua apparente freddezza (che peraltro ben si addice alle gelide lande della Finlandia da cui provengono i personaggi del libro) non fa che accrescere l’ironia, magari un po’ macabra, di cui è pervaso. “… ogni giorno è per ciascuno sempre il primo della vita che gli resta da vivere, anche se siamo troppo occupati per rendercene conto” è la sintesi filosofica di un romanzo divertente, originale, che si risolve in un inno non banale alla vita, alla solidarietà, all’amicizia. Un vero toccasana “per tempi agitati”, citando Mauro Bonazzi, come sono quelli in cui ci troviamo a vivere. Dalla postfazione di Diego Marani: “Una delle cose più belle dei romanzi di Paasilinna è che dopo il tumulto, il fragore e le spericolate rincorse tutto si risolve delicatamente, come una risata di cui resta solo il gioioso ricordo, nell’acqua increspata d’un lago, nel vento della sera, nell’odore di foraggio appena tagliato. … In questo libro la grande beffata è la morte”.
Ambientato a Bologna durante le festività natalizie tra la fine del 1953 e l’inizio del ’54, Intrigo italiano di Carlo Lucarelli ci ripropone la compagnia del commissario De Luca, sempre ombroso, inappetente e drogato di caffeina. Lo accompagna un giovane poliziotto che lo introduce negli ambienti musicali degli amanti del jazz, di cui era appassionato un noto professore morto in circostanze non chiare. Ma il mistero si infittisce quando anche la vedova viene trovata uccisa e De Luca stesso è controllato dai Servizi Segreti. Non siamo più in tempo di guerra mondiale, ma di guerra fredda e anche i migliori si devono aggiornare. Un giallo di classe, con una ricostruzione storica sempre molto accurata. È del 2022 il ritorno del commissario Marino, segretamente ma attivamente antifascista, in Bell’abissina, dopo l’esordio del 1993 con Indagine non autorizzata, quando era ancora soltanto ispettore. Si tratta di un cold case soltanto apparente, perché la serie di delitti, legati da somiglianze via via sempre più chiare, si protrae dal passato al presente pericolosamente minacciato dall’imminente scontro bellico. Marino ha un temperamento diverso da quello di De Luca e si getta anima e corpo in questa indagine che coinvolge corrotti fiancheggiatori del regime. Un incontro, come dice l’autore stesso nei Ringraziamenti, tra la storia, con la s minuscola, frutto di fantasia, e la Storia, quella del secondo conflitto mondiale che Lucarelli conosce molto bene e che ha trattato anche in diverse trasmissioni televisive.
Irresistibile la doppietta di Simenon che vi proponiamo. Gli altri, inedito in Italia fino alla pubblicazione di Adelphi del 2023, è scritto in forma di diario-confessione e ci guida con il suo ritmo irresistibile tra i meandri di un suggestivo castello francese, che racchiude, ça va sans dire, una morte misteriosa, una giovane e affascinante castellana, nonché un burbero e attempato maggiordomo, sospettosamente depositario di ogni segreto… Come sempre, con pochi abili tratti l’autore descrive una serie di personaggi che non potrebbero essere fra loro più diversi, anche se appartenenti alla stessa famiglia: la sua penna riesce a far sembrare del tutto naturali e accettabili legami apparentemente inconciliabili e al limite della moralità. Il finale è riservato all’apertura del testamento: a chi andrà la cospicua eredità del vecchio Antoine Huet? Ma soprattutto: in che modo la ricchezza influirà sulla vita e le abitudini dei protagonisti? A voi il piacere di scoprirlo. Il romanzo La prigione inizia ex abrupto con un misterioso omicidio, su cui la polizia indaga. Ma duplice è la ricerca intrapresa dall’autore: da una parte il movente del delitto, dall’altra la psicologia del protagonista, costretto a scavare nella sua vita per scoprire su sé stesso e sulle persone che gli erano più intimamente vicine segreti che ignorava o che, più probabilmente, cercava di rimuovere per superficialità, paura o inadeguatezza. Così la prigione diventa una metafora per descrivere una vita fasulla che implode in un solo istante di un giorno d’autunno. Al di là del caso limite rappresentato dal fatto di sangue e delle inevitabili differenze di carattere, è talmente accurata l’analisi psicologica che ogni lettore potrebbe ritrovare qualcosa di sé nell’indole del protagonista e comprendere i suoi atti apparentemente privi di logica. Simenon, come sempre, con ritmo inesorabile e accanito vaglio introspettivo ci conduce all’unica soluzione possibile.
Furio Scarpelli e Agenore Incrocci hanno firmato, sotto la nota sigla di Age&Scarpelli, “le più memorabili sceneggiature dell’epoca d’oro del cinema italiano”, da Totò le Mokò di Bragaglia, a La banda degli onesti di Mastrocinque, C’eravamo tanto amati di Scola, I soliti ignoti, L’armata Brancaleone e La Grande guerra di Monicelli, per citarne solo una minima parte. Tra gli inediti di Scarpelli che Sellerio sta ripubblicando (è del 2019 Amori nel fragore della metropoli) vi consigliamo Si ricorda di me, signor tenente?, romanzo che introduce i protagonisti alternando, con la tecnica del flash back, la narrazione contemporanea al memoriale di guerra. Lo scavo nel complesso passato del personaggio principale porterà alla luce gravi traumi, profondi e rimossi sensi di colpa. Ma chi è lo sgangherato seccatore che apostrofa con la domanda del titolo il vecchio Giulio, tranquillo pensionato che passeggia per le vie della Milano del 1999? Un truffatore, un commilitone o un rigurgito della sua coscienza addormentata? Si legge piacevolmente tutto d’un fiato.
Per una lettura diversa dal solito vi proponiamo Nightmare Alley, La fiera delle illusioni di William Lindsay Gresham, “una tipica storia noir”, da cui sono stati tratti ben due film: un classico con il fascinoso Tyrone Power in una veste per lui inedita e il recentissimo remake di Guillermo Del Toro con Bradley Cooper, Cate Blanchett, Willem Dafoe. Diviso in due parti (con un finale ad anello): da un lato il fantastico, bizzarro, grottesco mondo del circo, con i suoi misteri e le sue crudeltà; dall’altra quello dell’alta borghesia, non meno pericoloso. In sintesi, il libro e i due film sono “Tre facce della stessa storia che presentano tutte letture degne di essere lette e viste per una storia che potrebbe benissimo svolgersi anche al giorno d’oggi. I prestigiatori, che siano o meno appassionati di mentalismo/spiritismo, vi troveranno molti spunti interessanti.”
Un prezioso suggerimento dal passato: se vi fosse sfuggito, potete rimediare cogliendo dai nostri scaffali Il peso falso di Joseph Roth. Un autentico gioiello che mischia allo stile formulare dei poemi omerici, un’autentica passione d’amore e una finissima riflessione sull’essere umano, dominato dai suoi difetti, quasi deterministicamente volto verso il male, incapace di sfuggire alla tentazione del peccato, anche quando è mosso dalle migliori intenzioni. I temi sono quelli consueti della poetica di Roth, e spesso tornano anche gli stessi personaggi, che inevitabilmente cadono nella colpa: il tutto senza pessimismo né amarezza, anzi forse con una leggera sfumatura di fatalistica ironia.
Come una diabolica matrioska le vicende biografiche dell’autore, Herbert Clyde Lewis, giornalista e scrittore americano, nato a New York da ebrei russi emigrati, si ripercuotono sul protagonista del romanzo per poi accanirsi inspiegabilmente sulle vicissitudini editoriali dell’opera che vi vogliamo consigliare, Gentiluomo in mare. Sì, perché come l’autore ebbe una vita difficile, nonostante gli incessanti sforzi profusi per affermarsi e l’indubbio talento, così il protagonista di questo delizioso romanzo breve è vittima di “una sorte bizzarra e cattiva”, per citare la splendida canzone di Lauzi-Conte, e infine la novella fu ingiustamente ignorata alla sua prima pubblicazione nel 1937 per essere poi “ripescata” (è proprio il caso di dirlo) dall’abisso dei libri dimenticati per la prima volta in Argentina nel 2010: da quel momento il successo, più che meritato anche se postumo, divenne planetario. Davvero “una perlita”, come fu definito nella recensione argentina.
#gabriel garcia marquez#arto paasilinna#carlo lucarelli#georges simenon#furio scarpelli#agenore incrocci#william lindsay gresham#joseph roth
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"Eugénie Grandet" è uno dei romanzi più celebri di Honoré de Balzac, pubblicato per la prima volta nel 1833. Fa parte del vasto ciclo narrativo de "La Comédie Humaine", un'opera monumentale che Balzac ha dedicato a rappresentare la società francese del suo tempo.
Il romanzo è ambientato nella cittadina di Saumur, nella Valle della Loira, e racconta la storia di Eugénie, una giovane donna che vive sotto il giogo del padre, Félix Grandet, un uomo estremamente avaro e manipolatore. La trama si sviluppa attorno alla vita monotona e opprimente di Eugénie, che viene sconvolta dall'arrivo del cugino Charles, recentemente orfano e senza un soldo. Questo incontro risveglia in Eugénie sentimenti di amore e ribellione, portandola a scontrarsi con l'autorità paterna.
Balzac utilizza la figura di Grandet padre per criticare l'ossessione borghese per il denaro e il potere. La sua avarizia non solo rovina la vita della figlia, ma rappresenta anche una critica più ampia alla società del tempo, dove il valore delle persone è spesso misurato in termini di ricchezza materiale. La descrizione dettagliata della vita provinciale e delle dinamiche familiari rende il romanzo un ritratto vivido e realistico della Francia post-rivoluzionaria.
Honoré de Balzac nacque il 20 maggio 1799 a Tours, in Francia, da una famiglia borghese. Suo padre, Bernard-François Balzac, era un funzionario pubblico, mentre sua madre, Charlotte-Laure Sallambier, proveniva da una famiglia di commercianti parigini. Balzac trascorse un'infanzia solitaria e difficile, segnata dai frequenti disaccordi tra i genitori.
Dopo aver frequentato il Collège des Oratoriens a Vendôme, Balzac si trasferì a Parigi, dove studiò diritto. Tuttavia, la sua vera passione era la letteratura. Dopo alcuni tentativi falliti di affermarsi come drammaturgo, Balzac iniziò a scrivere romanzi sotto vari pseudonimi. La sua carriera letteraria decollò con la pubblicazione di "Les Chouans" nel 1829, il primo romanzo che firmò con il suo vero nome.
Balzac è noto per il suo stile di vita frenetico e per la sua incredibile produttività. Lavorava spesso per lunghe ore, alimentato da caffè nero, e scriveva in modo compulsivo. La sua opera più famosa, "La Comédie Humaine", è una serie di quasi cento romanzi e racconti che offrono un ritratto dettagliato della società francese del XIX secolo. Tra le sue opere più celebri si trovano "Le Père Goriot", "La Cousine Bette" e, naturalmente, "Eugénie Grandet".
Nonostante il successo letterario, Balzac ebbe una vita personale tumultuosa, segnata da numerosi debiti e relazioni amorose complicate. Nel 1850, sposò la contessa polacca Ewelina Hańska, con la quale aveva intrattenuto una lunga corrispondenza. Purtroppo, Balzac morì pochi mesi dopo il matrimonio, il 18 agosto 1850, a Parigi.
Balzac è considerato uno dei padri del realismo nella letteratura europea. La sua capacità di creare personaggi complessi e di descrivere con precisione la società del suo tempo ha influenzato molti scrittori successivi, tra cui Émile Zola, Charles Dickens e Marcel Proust.
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È ora di smetterla con gli intoccabili.
Sono stanco di questo mondo fatto sempre di troppi pesi e troppe misure, di intoccabili, di eccezioni che non confermano la regola, ma cercano di demolirla. Sono stanco di questo mondo in cui si sfugge dall’onestà intellettuale, dalle riflessioni sofferte ma necessarie, dalla trasparenza. Un mondo in cui non ci si mette a nudo, ma si “scrolla” Tik Tok al posto d’indagare se stessi. E dire che una cosa non escluderebbe l’altra. Un problema enorme del nostro tempo, certamente uno dei più grandi in assoluto, è quello della personalizzazione del crimine. Ovvero: non è importante la cattiva azione in sé, quanto chi la compie. Ed è così che, a seconda di chi è il colpevole, tutto può essere affievolito o aggravato. Eppure, di fatto, la violenza è violenza. Giusto? Si è parlato, in questi giorni, di una giornalista che ha denunciato Rocco Siffredi, reo di averla molestata nell’ambito di un’intervista sulla serie tv Netflix a lui dedicata. Esistono i tribunali, i processi, i giudici, quindi in questa sede non parlerò del caso specifico. Mi limito però a dire che non è la prima volta che assistiamo a dinamiche simili. Sempre lo stesso personaggio, diversi anni fa (credo nel 2006, non sono riuscito a comprenderlo con certezza) si è reso protagonista di un episodio altamente discutibile (quantomeno) in una trasmissione televisiva francese. Vedere oggi il video di quello che è accaduto in quel frangente è agghiacciante, perché per la mia sensibilità descrive senza timore di smentita una violenza in piena regola (peraltro tra le risate generali dei conduttori e di parte del pubblico). Eppure, in seguito non è accaduto nulla. Nemmeno quella volta. Qualche articolo di giornale, qualche polemica, e tutti felici e contenti. Come si può accettare tutto questo? “Era un programma goliardico”, dice qualcuno, “e certi siparietti avvenivano in tutte le puntate”. È una giustificazione? Secondo me no. Ma siamo qui, nel 2024, e su uno dei maggiori servizi streaming del mondo (Netflix, appunto) ci ritroviamo una serie tv dedicata a quest’uomo. Per quanto mi riguarda, sapete, si è rotto qualcosa. C’è chi la chiama “dissonanza cognitiva”, e non penso che siamo molto lontani dalla verità. Ho usato il nome di quel personaggio solo per esemplificare un concetto, che però purtroppo troppo spesso vediamo concretizzarsi. Mi chiedo in questi casi dove sia il (vero) femminismo, ammesso che esista. Dove sia la lucidità mentale che ci consenta di guardare la realtà con obiettività, e senza cercare scuse o giustificazioni che non esistono. È possibile fare le persone serie, per una volta? A quanto pare no. L’ipocrisia, la falsità, la superficialità devono vincere sempre. È per questo che viviamo nel fango, che tutto è crollato, e che mancano le basi solide, per un futuro degno di questo nome. Siamo sempre, tutti, troppo distratti da quel che ci vuol essere imposto. Dalle frasi fatte, dagli slogan, dai tentativi di lavarsi la coscienza. E facciamo tante brutte figure, agli occhi di Dio.
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Il tappeto è in realtà un incredibile mosaico: è la tomba di Nureyev
Poco fuori Parigi il cimitero ortodosso di Sainte-Geneviève-des-Bois conserva un’opera splendida e commovente. È la tomba del più grande ballerino del XX secolo.
La vita di Rudol’f Chametovič Nureev, Nureyev per il mondo intero, sembra scritta da un grande romanziere: nato nel 1938 in un vagone passeggeri della Trasiberiana, vive gli anni della guerra in condizioni di grande precarietà. Poi i sacrifici, l’affermazione, gli anni di gloria, la malattia. Oggi Nureyev è considerato il più grande danzatore del XX secolo, precursore della danza moderna. Morto nel gennaio del 1993 a causa del decorso della malattia (era malato da anni di AIDS), il grande ballerino fu sepolto nel cimitero ortodosso di Sainte-Geneviève-des-Bois, poco fuori Parigi. La sua tomba, molto meno nota rispetto a quelle di altri grandi personaggi dei suoi anni sepolti nella capitale francese, è un vero capolavoro. Progettata dello scenografo Ezio Frigerio e realizzata dallo Studio Akomena di Ravenna, la tomba di Nureyev è un mosaico che raffigura un kilim, tappeto pregiatissimo tessuto come arazzo tra i Balcani e il Pakistan, amatissimo dal ballerino. È impressionante ammirare come la grande maestria dei mosaicisti di Ravenna sia riuscita a rendere, in quest’opera meravigliosa e commovente, il senso di pesantezza tipico del kilim, che pare adagiato sulla tomba a conservare le spoglie di questo straordinario artista e atleta del secolo scorso.
ByGiovanni Mavaracchio
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“ Il sabato, il mercato apre al pubblico alle nove. Questo vuol dire che i veri appassionati alle otto in punto sono già lì, in attesa. Ci si incontra in un bar proprio di fronte al mercato, tutti dotati di enormi zaini vuoti che si spera di riempire. Qualche saluto imbarazzato fra persone che si conoscono di vista da anni, di cui spesso si sanno nome e professione, ma con cui non si è mai davvero scambiato quattro chiacchiere. Si beve un caffè e ci si guarda sospettosi, soprattutto fra rivali con gli stessi gusti. È una specie di maledizione, qualunque sia l’argomento della tua ricerca ci sarà sempre qualcuno contro cui combattere. Anch’io, naturalmente, ho il mio antagonista. È un signore anziano, alto e sottile come un giunco. Avvizzito e scuro di carnagione come se fosse stato a seccare per anni al sole del deserto, vestito sempre con quello che a me sembra essere lo stesso lungo impermeabile chiaro, estate o inverno che sia. Insensibile al clima come i migliori cercatori di libri: che piova, nevichi o tiri vento, che si ghiacci o ci sia un’afa irrespirabile, lui è sempre lì. Ogni sabato alle otto. Si aggira fra i banchi con una leggera zoppia che usa come un’arma per dissimulare la sua ferocia. Pensi possa essere lento nel muoversi e, invece, appena qualcosa attrae la sua attenzione è capace di scalare degli enormi mucchi di libri con la stessa agilità di un ragazzino. Io ormai lo so, ma tra i neofiti la sua apparente fragilità fa molte vittime. Fragilità? Non sa cosa sia. È duro come il legno stagionato di cui sembra essere fatto. È resistente anche, il maledetto! Non si stanca mai, controlla con pignoleria ogni mucchio e non c’è sabato che a fine giornata non vada via con il suo zaino stracolmo di pesanti tomi. Ho sentito un libraio una volta chiamarlo professeur e un altro Henri. Professor Henri era, quindi, tutto quello che conoscevo del mio avversario, oltre al fatto che era temibile, un vero osso duro, che adora la botanica e la Rivoluzione francese. E che mi sta antipatico. Sembra avere un sesto senso per i libri di botanica. Si tuffa nei mucchi come una donnola dentro la tana di un coniglio e ne emerge sempre con qualcosa fra le mani. Quando ci si incrocia fra i cumuli, sembra sempre che mi osservi con uno sguardo dove si mescolano in parti uguali sufficienza e divertimento. Ci teniamo d’occhio da lontano e normalmente a inizio giornata ci dirigiamo ai poli opposti del mercato alla ricerca di mucchi appena scaricati guardandoci in cagnesco, con la speranza di trovare per primi qualcosa che possa suscitare l’interesse dell’altro. Una vitaccia, ve lo garantisco. “
Stefano Mancuso, La pianta del mondo, Laterza (collana i Robinson / Letture), 2022⁷, pp. 19-20.
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«Io e i miei servizi saremo estremamente vigili rispetto a qualsiasi prova che indichi violazioni del DSA (il Digital Services Act, ndr) e non esiteremo a sfruttare appieno i nostri strumenti, anche adottando misure provvisorie, qualora ciò fosse giustificato per proteggere i cittadini dell’Ue da gravi danni”. Per comprendere il senso della lettera aperta che il francese Thierry Breton ha indirizzato lo scorso 12 agosto a Elon Musk, bisogna partire dalla fine e cioè da questa non troppo velata minaccia che il Commissario europeo per il mercato interno e i servizi ha rivolto al patron di X.
A poche ore dal faccia a faccia con Donald Trump – ma è solo un caso, ça va sans dire – Breton ha sentito la necessità di ricordare a Musk che “da un grande pubblico derivano ancor più grandi responsabilità” e che l’Unione Europea è sempre lì, pronta a sanzionarlo qualora non ottemperasse ai dettami del Digital Services Act. Il DSA impone, tra le altre cose, di adottare misure di mitigazione proporzionate ed efficaci per quanto riguarda l’amplificazione di contenuti dannosi in relazione a eventi rilevanti o che promuovono odio, disordini, incitamento alla violenza o determinati casi di disinformazione e si applica “senza eccezioni o discriminazioni alla moderazione dell’intera comunità di utenti e ai contenuti di X (incluso lei stesso come utente con oltre 190 milioni di follower) accessibili agli utenti dell’Ue”, avverte Breton.
Insomma, una sorta di “odiare ti costa” in salsa UE con cui le istituzioni si preoccupano di tenere al sicuro i cittadini dalla disinformazione, dal linguaggio d’odio e dalla propaganda di contenuti dannosi. Bello, bellissimo – anche se un tantinello paternalistico (a proposito, non dovevamo combattere tutti contro il patriarcato?) – se non fosse che a decidere cosa sia vero, a stabilire cosa sia dannoso, a sancire cosa sia odio sono gli stessi che da anni caldeggiano il totale sovvertimento della realtà in favore di un mondo “fatato” in cui, per esempio, è odio dire che una persona con i cromosomi XY sia un uomo, mentre risponde al vero che ci siano uomini che mestruano o partoriscono. Ma non solo.
È “odio” sostenere la vita umana sia sacra, inviolabile e non possa essere mercificata, mentre è “sacrosanto” sponsorizzare la compravendita di neonati per la soddisfazione dei desideri degli adulti. È propaganda omofoba sostenere che un bambino abbia diritto a crescere con una mamma e un papà mentre è assolutamente normale che l’aborto assurga a diritto fondamentale al pari della libertà personale perché, in fondo, quello nel ventre materno è solo un grumo di cellule. Ovviamente, donna è chi donna si sente e Fragolina83 può dire la sua su tutto purché garantisca un adeguato livello di petaloarcobalenosità, mentre il Presidente degli Stati Uniti può essere tranquillamente messo a tacere quando lo decide Mark Zuckerberg.
D’altronde, veniamo da anni in cui affermazioni quali “il vaccino fornisce la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose” o “non ti vaccini? Ti ammali, muori” sono state certificate dai sacerdoti della verità come oro colato mentre l’opinione di chi ha avuto l’ardire di porsi qualche domanda è stata bollata come negazionismo o fake news, paroline magiche che stanno bene su tutto ciò che contraddice il mainstream e mette in pericolo le verità precostituite che tutti noi abbiamo il dovere di accettare con fede cieca e totale devozione.
Non sorprende, dunque, che Breton richiami all’ordine Musk ricordandogli che c’è qualcuno che si preoccupa di certificare cosa sia vero e cosa no e di punire chi sbaglia, anche, eventualmente, imbavagliandolo. È necessario che al popolo sia somministrata una verità testata e approvata nei massimi consessi. Per il nostro bene e per il bene della democrazia. Tutto torna, no?
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Mirabilie
Ieri la più grande agenzia pubblicitaria italiana (così si definiscono, ed è vero) ha comprato una pagina sul Corriere della Sera per "ringraziare" coloro i quali commentando la nuova campagna di Promozione Turistica dell'Italia, commissionata dall'ENIT e dal Ministero del Turismo, Open To Meraviglia, per ringraziarli: "Quando una campagna di promozione turistica rompe il muro dell’indifferenza e riesce a dar vita a un dibattito culturale così vivace come quello acceso in soli 5 giorni da Italia. Open to Meraviglia, rappresenta sempre qualcosa di positivo, (...) Grazie, perché non accadeva da anni che la notizia di una campagna istituzionale suscitasse una eco di tale portata (…) Grazie per le migliaia di visualizzazioni, commenti, meme e per le appassionate discussioni di questi ultimi giorni: ci hanno fatto sentire davvero la più grande agenzia italiana, con un immenso reparto creativo di persone al lavoro sullo stesso concetto".
Mi piace quest'idea che ha l'agenzia, che in questo mestiere davvero è un gigante (la Carmencita di Carosello per il caffè Lavazza, per dire è figlia del genio del fondatore Armando Testa) di cosa sia dibattito culturale: ridere tra lo sgomento e il faceto sul lifting alla Venere del Botticelli, della maglietta a righe per mangiare la pizza, sui posti scelti, sul costo della campagna, sul dominio internet non comprato, sulle immagini stock e così via. Era davvero questo l'obiettivo?
La risposta la dà indirettamente la stessa agenzia: L'obiettivo è quello di promuovere l'Italia all'estero, puntando su un target proveniente da 33 Paesi. Anche e soprattutto su mercati culturalmente molto diversi dal nostro, accendendo l'attenzione in modo facile, diretto e immediatamente riconoscibile su ciò che tradizionalmente contraddistingue l'Italia nel mondo. Parlare dell'Italia significa tener conto di tantissime sensibilità e sfumature. Un capitale culturale e umano così unico e prezioso che spinge tutti a lavorare, ed anche a dibattere, con una straordinaria passione.
Detto in termini un po' brutali, è lo stesso principio che spinse il Direttore degli Uffizi Schmidt a concedere una visita esclusiva e notturna alla più nota influencer italiana con famiglia, per poi poter dire che i weekend successivi la percentuale di visitatori sotto i 25 anni era aumentata del 30%. Una campagna così probabilmente è indirizzata a turisti come questi :
che si fanno i selfie come se fossero ai Tropici, ma sono sui binari di Auschwitz. Non importa molto che, ed è cronaca, persino le città meravigliose scelte come panorama per i finti scatti della nostra venere in lifting davvero si lamentino dell'arrivo massiccio di turisti "mordi e fuggi", dello svuotamento dei centri storici, dell'imborghesimento di aree urbane senza possibilità di reali vantaggi per la comunità che la abitava, e così via.
E per restare un po' polemico, scommetto che i milioni che si sono lamentati dello stereotipo con cui ci presentiamo ai 33 Paesi esteri sono in molti casi quelli che sfottono per esempio i francesi perchè non hanno il bidet (che si chiama così dal francese, termine che vuol dire pony, installato da Christophe Des Rosiers, presso la residenza del Primo Ministro francese ad uso della moglie, Madame De Prie. Grazie alle memorie dell’allora Ministro degli Esteri – nonché amante di Madame De Prie – sappiamo che nel 1726 il gentiluomo fu ricevuto dalla signora, imbarazzatissimo, mentre era a cavallo di uno strano sgabellino a forma di violino intenta a rinfrescarsi).
Per il piacere di tutti gli altri contro gli stereotipi, con l'aiuto di chi vorrà, si possono segnalare delle meraviglie nascoste e poco conosciute del nostro Paese. Inizio io con un posto stupendo
L'anfiteatro Romano di Santa Maria Capua a Vetere, in provincia di Caserta, il più grande del nostro Paese dopo il Colosseo. Tra l'altro vicino c'è Capua e il suo meraviglioso centro Storico Antico e a Sant'Angelo In Formis, una frazione di Santa Maria, vi è una favolosa Abbazia di Sant'Angelo, di epoca Longobardo-Normanna, con affreschi del X secolo.
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Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica Valentina Pace
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: Neri Pozza
Buona lettura a tutti!
OMICIDIO A CAP CANAILLE - CHRISTOPHE GAVAT
“… il comandante sa bene che i delinquenti marsigliesi non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi della capitale in materia di criminalità. In quanto a tecniche per uccidere il prossimo il marsigliese, benché provinciale, non manca mai di immaginazione, e tiene a dimostrare al parigino che in questo campo, come su quello da calcio, il migliore è lui. E che non ha paura di dégun – di nessuno.”
Cos’hanno in comune un cadavere carbonizzato trovato nel portabagagli di un’auto abbandonata a Marsiglia: il cosiddetto “barbecue”, un sistema atroce per regolare i conti tra fuorilegge, con una serie di rapine a furgoni portavalori a Parigi?
Il comandante Henri Saint-Donat, da poco trasferito alla Brigata criminale della città provenzale dal 36 quai des Orfèvres, la celeberrima sede della Polizia giudiziaria di Parigi, capisce subito di trovarsi di fronte ad un caso molto complesso.
Henri ha un curriculum di tutto rispetto, è un poliziotto di grande esperienza ed estrema sensibilità; dopo tanti anni di matrimonio è ancora molto innamorato della sua Isabelle, ma è anche un uomo tormentato a causa di una tragedia familiare che lo ha segnato nel profondo e di cui nessuno dei suoi colleghi è a conoscenza.
Negli uffici dell’Eveché, sede della polizia giudiziaria, nel dedalo di strade che attraversa La Cayolle, quartiere labirintico e malfamato di Marsiglia, nei corridoi delle Baumettes, il tetro penitenziario, Henri non è solo. Lo supportano il giovane tenente Basile Urteguy e il capitano Lucie Clert.
Basile è un ragazzo pieno di vita, un appassionato di musica, un genio dell’informatica e, allo stesso tempo, un poliziotto di grande perspicacia: nel corso dell’indagine il suo apporto sarà fondamentale.
Lucie, invece, è una forza della natura: una gran bella donna dal carattere impossibile che ha il brutto vizio di saltare subito alle conclusioni. Sul lavoro è testarda e professionale, ma la sua vita privata è un vero disastro. Chissà che non trovi l’amore proprio nel corso dell’indagine…
“Omicidio a Cap Canaille” è un polar di azione che mostra al lettore le tecniche di investigazione della polizia francese, ma dà anche molto spazio alla vita privata e ai sentimenti dei suoi protagonisti.
I capitoli sono estremamente brevi e il linguaggio è semplice, diretto, crudo nel raccontare l’evolversi dell’inchiesta giudiziaria, ma altrettanto evocativo nelle pagine dedicate alla descrizione dei luoghi e degli stati d’animo, anche quando i sentimenti, le emozioni e il privato dei protagonisti prendono il sopravvento sul dovere professionale.
L’autore, Christophe Gavat, è lui stesso un commissario della polizia francese e, leggendo il romanzo la passione per il suo lavoro, il rispetto e l’ammirazione per i colleghi sono del tutto evidenti.
“È ancora un piedipiatti nell’anima, perché ama quell’atmosfera ovattata e notturna dell’Evêché, dove i passi riecheggiano nei corridoi vuoti, dove solo poche luci negli uffici, qualche grido o un’invettiva qua e là suggeriscono che ci siano ancora dei poliziotti al lavoro. Lavorano sempre. Soprattutto, sa di amare quegli agenti dal carattere forte, che non mancano né di energia, né di abnegazione, né di senso dell’umorismo per svolgere ogni giorno con passione il loro mestiere, tanto da farlo anche di notte.”
COSA MI È PIACIUTO
La lettura di “Omicidio a Cap Canaille” è stata la mia prima esperienza con un polar e ho apprezzato moltissimo la descrizione vivida dei luoghi, l’approfondimento psicologico dei personaggi e l’analisi dei rapporti che si creano tra di loro.
COSA NON MI È PIACIUTO
Il finale prevedibile.
L’AUTORE
Christophe Gavat, nato nel 1966, è entrato in polizia nel 1989. Parigi, Marsiglia, Grenoble, Guyana: nella sua carriera pluritrentennale è stato decorato al valore, messo sotto inchiesta e reintegrato. Ha avuto a che fare sia con i grandi casi che catturano l’attenzione mediatica, sia con i piccoli casi quotidiani che lasciano il segno. Già autore di tre libri sulla sua vita di poliziotto, con questo suo primo romanzo si è aggiudicato nel 2021 il Quai des Orfèvres, premio deciso da 21 giurati tra poliziotti, avvocati, magistrati e giornalisti.
LA CASA EDITRICE
Neri Pozza è una casa editrice veneta rinomata e prestigiosa, fondata nel 1946 dall’omonimo scrittore e ha pubblicato, nel corso degli anni, opere di autori molto famosi della letteratura italiana come Carlo Emilio Gadda, Eugenio Montale, Goffredo Parise, Massimo Bontempelli, Giuseppe Berto ai quali si affiancano oggi nomi internazionali grandiosi quali Romain Gary, Natsuo Kirino, Tracy Chevalier, Eshkol Nevo, Herman Koch.
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